Come ho deciso di no assistere piú i parti in casa

Come puoi leggere quí l’anno 2020 è stato un’anno particolarmente intenso dal punto di vista lavorativo (e non solo). Tantissime assistenze in gravidanza ed in puerperio, ma anche tantissimi parti in casa. Mi sentivo fortunata ad avere un lavoro, in confronto a tantissimi altri che ne erano rimasti senza in quell’anno. Ma questo carico lavorativo si è aggiunto ad alcune condizioni che preesistevano nella mia vita: Gli ultimi anni avevo investito tutte le mie energie nel far crescere la mia piccola impresa di libera professione. Il lavoro di ostetrica è come tanti altri un lavoro di CAREGIVER, di cura, e come tutti questi lavori rischia di lasciarti svuotata, vicina a o proprio nel bel mezzo di un burnout. Perché sono cosí estenuanti i lavori di cura? Perché richiedono che tu metta in disparte tutti i tuoi pensieri, problemi, bisogni anche fisici, tutta te stessa. È vero, è anche molto appagante. Ma non a caso questi tipi di lavoro (infermiere, badanti, insegnanti, educatrici, assistenti sociali, psicologhe e così via) sono quelli più a rischio di burnout.

In particolare l’ostetrica si vede affrontare una valanga di emozioni, di gioia, ma anche di paura, dolore, tristezza. Questa valanga rischia di travolgerti. Rischi di immedesimarti nella donna, di farti trascinare dalle sue emozioni, finendo per non distinguere più quali sono le tue e quali le sue. Tante persone che lavorano come caregiver non trovano altra via d’uscita che distanziarsi. Questa apparente distanza viene spesso interpretata come indifferenza e freddezza, ma in realtà è un meccanismo, per lo più inconscio, di autotutela, e svela l’incapacità di affrontare in modo adeguato la valanga emotiva. Sta proprio nel mezzo, questa delicata via di mezzo fra l’empatia (la capacità di “sentire ciò che tu senti”) e la sana distanza verso la persona in carico, che è secondo me la più grande sfida del mestiere dell’ostetrica. La parola magica è selfcare. (Non ho trovato una parola italiana che corrisponda, e giá questa la dice lunga). Purtroppo nei corsi di laurea e nelle scuole questo concetto viene insegnato troppo poco.

E guarda a caso la stragrande maggioranza di tutti i lavori di caregiver è occupato da noi donne, perché siamo socialmente e culturalmente state educate a prenderci cura degli altri. Ed ecco il secondo ostacolo in cui inciampare:

Se hai figli, o anche un parente che necessita di cure, (escludo a questo punto compagni maschi e animali domestici, gli uni perché dovrebbero essere benissimo in grado di badare a se stessi, gli altri perché solitamente considerati una passione o hobby), quando esci dal tuo lavoro di caregiver inizia il tuo secondo lavoro…. di caregiving. Tempo di tregua forse i quindici minuti dal posto di lavoro per tornare a casa. (E questo secondo lavoro non viene neanche pagato. Non che i lavori di caregiver siano particolarmente lucrativi, anzi…)

Assistere parti poi, significa essere 24 ore in reperibilitá, per cinque settimane, a donna. E le donne in questo 2020 erano tante e tante contemporaneamente. Essere reperibili significa avere il cellulare sempre acceso, sempre carico, sempre con abbastanza campo. Significa dormire con il cellulare vicino al cuscino, e non sapere mai se i programmi della giornata rimarranno tali, se potrai mantenere un’appuntamento e una promessa, se potrai svolgere quel corso, e neanche se all’uscita dei tuoi figli da scuola ed asilo potrai esserci tu. Significa vivere con un certo livello di adrenalina, di tensione, perché in ogni momento della giornata e della notte devi in pochi secondi attivare il cervello al 100%, devi essere sveglia, concentrata, calma, empatica.

Ed ecco che mi ritrovai in questo 2020 a servizio delle donne, io madre single con due figli, nel bel mezzo del camin' e cosí via, fra decreti di legge, scuole chiuse ed un’insicurezza globale.

Certo, quel mestiere di assistere ai parti l’avevo scelto io. Quel livello di adrenalina l’avevo scelto io. Peró mi ritrovai tutte le sere, quando era l’ora di chiudere la serratura della porta di casa, a pensare “Spero proprio che stanotte non mi chiamino. Spero di non dover aprire questa porta prima di domani mattina, perché sono sfinita”. Cosa era successo? Come è potuto un lavoro che solo un anno fa non vedevo l’ora che la signora finalmente chiamasse per le contrazioni, trasformarsi in un peso tale da quasi schiacciarmi? Per un periodo mi son detta “dai che è solo questo mese, vedrai che appena hai un po’ meno da fare ti riprendi”. Ma fatto sta che quel momento non arrivó. A giugno 2020, ero finalmente al mare con i miei figli, ricordo di essere stata tutto il tempo con la testa a pensare alla donna che doveva partorire proprio quei giorni, e che avevo "lasciato" ad una collega per  sostituirmi. La donna ha partorito esattamente il giorno prima che dovevo rientrare, ed io ero combattuta se tornare prima del previsto o godermi ancora quella giornata al mare. Fatto sta che la donna ha partorito con la mia collega ma io quel giorno e quella vacanza non me l’ero goduta.

È stato il momento in cui ho realizzato che dovevo cambiare qualcosa. Il primo pensiero è stato: faccio meno parti, sapendo che però lasciavo il carico lavorativo alle mie due colleghe. Man mano che le donne mi chiamavano per richiedere la mia assistenza non riuscivo a dire di no. Non volevo lasciarle per strada. Avevano cercato me, non potevo deluderle. Non potevo lasciarle sole, proprio adesso. Dall’altra parte cresceva il mio disagio. Assistere i parti era diventato stremante, una sera mi beccai, mentre sedevo per terra in qualche stanza in penombra, con la schiena appoggiata alla parete, completamente esausta. Volevo esserci con tutta me stessa, invece il mio corpo e la mia testa erano sfiniti. A quel punto mi sono chiesta se allora potevo ancora essere una brava ostetrica, e se io come donna avessi voluto che mi assistesse un’ostetrica che, a stare con me in quella stanza in penombra, non ce la faceva piú. È stato il momento in cui decisi definitavene di non poter più seguire parti. Un momento difficile, doloroso, una decisione combattuta con il sapore amaro di fallimento. Non é stata facile, ma alla fine la mia sofferenza interiore era diventata troppo grande. Pensavo che se non avrei cambiato qualcosa, la tensione e la fatica mi avrebbero portata ad ammalarmi. Mi vennero in mente le parole della mia cara amica, che un'anno prima si era ammalata gravemente: La vita non é una prova generale. È solo una. Questo mi ha incoraggiata a seguire ció che sentivo e a porre me e la mia salute davanti al lavoro ed alle aspettative (che poi quelle che ho verso me stessa superano alla larga quelle altrui... ma questo sarebbe un blog a se).

Era diventato autunno, ma ovviamente le donne a cui avevo già dato la mia disponibilità non le avrei lasciate sole. Fu così che l’1 aprile 2021 seguì il mio ultimo parto. Dico ultimo perché dapprima pensavo solo di prendermi una pausa di un’anno, ma già gli ultimi mesi sentii che doveva essere più di un’anno.

Tornerò mai ad assistere parti? Non escludo niente, ne ho ancora di strada davanti a me, spero. Ma più si avvicinava quell’ultimo bambino che sarebbe nato, più sentii come era assolutamente la decisione giusta. All’inizio le aspettative altrui e mie, il dispiacere nel dire di no erano ancora voci molto presenti nella mia testa. Ma con il passare del tempo la prospettiva di sollevarmi da questo peso divenne sempre piú forte.

Quando in quella sera d’aprile ho chiuso definitivamente la serratura di casa mia (per quella notte) mi sentivo leggere, in pace. Sembra incredibile ma alla fine ci sono voluti anocra mesi prima di assaporare definitivamente la nuova leggerezza, non a caso quando nell’estate del 2021 sono (finalmente) tornata al mare con i miei figli ho notato la grande differenza. La mia testa era libera e soprattutto era quí, al mare, e non altrove.

Non per ultimo, in questi due anni si é aperto un nuovo capitolo sul mio fronte lavorativo, in cui sento di voler concentrare le mie energie in futuro. Ma di questo vi parleró fra poco...